La circolazione dei beni con provenienza donativa

di Margherita Caccetta

Notaio

Il contratto di donazione è disciplinato dall’articolo 769 del codice civile e attraverso tale tipo contrattuale il donante si spoglia del suo patrimonio per “trasferirlo” gratuitamente al donatario.

Infatti la donazione è caratterizzata dall’animus domandi e vede la compresenza di altri due elementi: quello del depauperamento del proprio patrimonio e quello dell’arricchimento del patrimonio del donatario.

Nonostante il profilo di gratuità, essendo moralmente implicante, il contratto di donazione deve essere accettato (anche perché esso inverte anche l’ordine dei soggetti tenuti agli alimenti ex articolo 433 c.c.): per il principio noto in diritto per cui “tertium beneficium non datur”.

Il contratto di donazione non pone particolari problemi nel momento in cui viene posto in essere ma deve essere ben soppesato e ben “riflettuto” soprattutto per gli effetti successivi che può provocare.

In relazione al contratto di donazione, rivestendo lana forma dell’atto pubblico va ricevuto dal Notaio ed in questo frangente la funzione di consiglio che il Notaio è chiamato a svolgere ha un ruolo particolarmente attivo.

Il problema principale riguardante il contratto di donazione è relativo alla circolazione del bene dopo la donazione, soprattutto per lo stretto legame tra donazione e successione tanto che alcuni autori considerano la donazione come un anticipo sulla successione ed ecco che, il Notaio, ha il compito di consigliare il donante nel porre in essere una donazione consapevole.

In particolare, il contratto di donazione può generare criticità quando il donante, che pone in essere la donazione, ha dei legittimari.

Il nostro ordinamento prevede che una limitata cerchia di soggetti (coniuge e figli ed in mancanza gli ascendenti) non possa essere pregiudicata da atti posti in essere in vita dal de cuius quali appunto le liberalità o disposizioni mortis causa che eccedano la quota c.d. disponibile del suo patrimonio.

Si capisce dunque che, un volta parte la successione, l’acquirente del bene, a sua volta oggetto di donazione precedente, possa non vedere stabilizzato il suo acquisto in quanto potrà essere oggetto di azione di restituzione qualora il de cuius abbia “esaurito” la c.d. disponibile.

La donazione può essere oggetto di azione di riduzione ai sensi dell’articolo 563 codice civile e conseguentemente di azione di restituzione nei confronti del donatario e dei terzi aventi causa.

Si tratta ovviamente di donazione diretta e non dei casi di donazione indiretta che le parti possono realizzare: quest’ultime non sono oggetto di azione di restituzione per un principio di certezza dei traffici giuridici.

La dottrina ha elaborato vari rimedi alla problematica della successiva circolazione del bene quali:

-la prestazione di una fideiussione bancaria

-il mutuo dissenso dell’atto di donazione

-la rinuncia all’azione di restituzione (da usare con particolare cautela in quanto alcune Conservatorie non consentono di dare pubblicità a tale negozio)

La questione è talmente dirompente che di recente una pronuncia della Corte di Cassazione ha così statuito in materia di contratto preliminare:

“in tema di preliminare di vendita, la provenienza del bene da donazione, anche se non comporta per sé stessa un pericolo concreto e attuale di perdita del bene, tale da abilitare il promissario ad avvalersi del rimedio dell’art. 1481 c.c., è comunque circostanza influente sulla sicurezza, la stabilità e le potenzialità dell’acquisto programmato con il preliminare. In quanto tale essa non può essere taciuta dal promittente venditore, pena la possibilità che il promissario acquirente, ignaro della provenienza, possa rifiutare la stipula del contratto definitivo, avvalendosi del rimedio generale dell’art. 1460 c.c., se ne ricorrono gli estremi”.

La summa a cui si vuole arrivare è che non si deve aver paura degli atti di liberalità ma se ne deve essere consapevoli così da sapere a cosa si va incontro ma soprattutto che nel caso, esistono soluzioni per porvi rimedio.

Viene fortemente utilizzato nella prassi il mutuo dissenso dell’atto di donazione.

Per molto tempo si riteneva che tale rimedio non avesse efficacia in quanto l’opinion prevalente in giurisprudenza era che esso fosse un c.d. contraria actus e quindi si sarebbero andati a ricreare gli stessi problemi dell’atto di donazione; anzi, si sarebbero aggiunti alla contestazione sulla legittimità dell’atto posto in essere dal donante anche i legittimari del donatario.

A seguito della pronuncia della Corte di Cassazione n. 20445/2011, il dibattito dottrinale si è sopito in quanto la sentenza ha riconosciuto al mutuo dissenso un effetto risolutorio del negozio “essendo frutto della libertà di autonomia negoziale delle parti che sono libere di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio” che non vogliono più.

Tale figura contrattuale, alla luce della natura giuridica sopra avallata dalla Cassazione, quindi, ha il pregio di porre nel nulla il contratto di donazione con efficacia ex tunc e dunque con efficacia retroattiva, fatti salvi i diritti dei terzi medio tempore acquistati. 

Tale negozio dunque, sciogliendo il contratto di donazione fa venire meno i problemi ad esso connessi relativamente alla circolazione del bene successivamente alla donazione.

Successione legittima e necessaria

un pò di chiarezza.

Margherita Caccetta

Notaio

Nell’ambito della successione occorre fare chiarezza sui concetti giuridici di successori legittimi e legittimari perché molto spesso si tendono a confondere i piani e non vi è nulla di più distante.

L’ambito successorio nonostante sia disciplinato da pochi articoli del codice civile è la materia, forse anche per tale ragione, più complessa.

La successione è disciplinata dall’articolo 456 del codice civile e si apre nel luogo dell’ultimo domicilio del defunto, la cui eredità si devolve per legge o per testamento: tertium non datur.

Infatti nel nostro ordinamento, come sancito dall’articolo 458 del codice civile, sono vietati i patti successori istitutivi, rinunciativi e dispositivi proprio perché, in estrema sintesi, il “testamento” e le volontà testamentarie nel loro complesso, sono sempre revocabili fino alla morte del testatore e pertanto, il legislatore vieta tutti quei patti e dunque quei contratti posti in vita dal testatore con effetto a partire dalla morte del medesimo.

Egli deve essere libero di disporre del proprio patrimonio fino all’ultimo senza vincoli bilaterali “preventivi”.

Il testamento infatti è un negozio unilaterale personalissimo e sempre revocabile con la semplice dicitura in un successivo testamento “revoco ogni mia precedente disposizione testamentaria”, testamento che può contenere anche solo questa revoca senza alcuna altra disposizione attributiva ulteriore. 

La successione, come detto all’inizio di questo articolo, può essere testamentaria, e dunque essere regolata da un testamento olografo, pubblico o segreto, ovvero legittima, quando non vi è un testamento e dunque si seguono le norme codicistiche sulla devoluzione del patrimonio del de cuius ai sensi degli articoli 565 e seguenti del codice civile.

Ed allora dove si colloca la successione necessaria?

Sulla natura giuridica della successione necessaria sono state scritti “fiumi” di dottrina ma la teoria ad oggi preferibile è quella che ritiene che la successione necessaria si accosti tanto alla successione legittima, sovrapponendosi in certi casi ad essa, quanto alla successione testamentaria, andando se del caso ad integrarla.

La successione necessaria è disciplinata dagli articoli 536 e seguenti del codice civile.

Il nostro legislatore anche nella scelta terminologica di “necessaria” vuole subito far comprendere che tale successione si apre necessariamente anche contro la volontà del testatore, nei confronti di soggetti determinati dal legislatore stesso, sulla base di un concetto romanistico di famiglia, qualora tali soggetti vengano lesi o pretermessi.

Infatti i successori necessari ovvero i c.d. legittimari sono coloro che compongono il nucleo più “stretto” della famiglia ovvero il coniuge ed i figli ed in mancanza gli ascendenti.

I legittimari dunque sono coloro a cui spetta una quota di riserva (la c.d. legittima) in ogni caso, pertanto nell’ambito della successione necessaria si “gioca” tutta l’attenzione sui concetti di pretermissione e lesione.

Per lesione si intende che il legittimario ottiene “meno” di quanto la legge a lui riserva; per pretermissione, invece, si fa riferimento ad una disposizione testamentaria non necessariamente destitutiva ma anche più semplicemente attributiva di tutto il patrimonio ad altri soggetti.

Facilmente si comprende come una lesione della legittima si possa avere soltanto con la redazione di un testamento in cui il testatore disponga in una misura eccedente la porzione disponibile a favore di soggetti non legittimari.

In caso di successione legittima tale evenienza non può riscontrarsi perché in caso di presenza di legittimari, successori legittimi e legittimari coincidono.

Nonostante qualche orientamento dottrinale lo ammetta, è “vietata” la diseredazione tout court di un legittimario: o meglio, la stessa non è vietata ma è sicuramente impugnabile il testamento da parte del legittimario pretermesso, con ottime probabilità di vittoria.

Il legittimario a cui non viene riconosciuta dal testatore la quota di legittima infatti ha lo strumento dell’azione di riduzione che gli consente di impugnare la disposizione testamentaria lesiva dei suoi diritti. Il legittimario, dunque, a seguito del vittorioso esperimento dell’azione di riduzione, verrò reintegrata nei diritti di legittima e potrà ottenere la sua quota di eredità diventando così erede.

Ecco che quando si redige un testamento è fondamentale avere ben chiari questi concetti per evitare di scrivere delle volontà che potrebbero mai trovare attuazione o non combaciare con le volontà del de cuius.